
La dignità delle donne della Resistenza
“Se percuotendomi volete mortificare il mio corpo, è superfluo farlo: esso è già annientato. Se invece volete uccidere il mio spirito, vi avverto che è inutile: quello non lo dominerete mai”.
E’ una figura poco nota quella di Cleonice Tomassetti che non rientra neanche nelle rappresentazioni tipiche delle donne partigiane; come dice Aldo Cazzullo, infatti: “non era una maestra di scuola, non era una staffetta, non aveva un marito tra i partigiani. Non fece neppure in tempo a combattere la guerra di liberazione. Era una donna che aveva fatto la propria scelta spontaneamente”.
La sua vicenda di donna che diventa martire della Resistenza però è racchiusa nelle sue intense parole. E in quelle parole possiamo ritrovare il destino di molte donne, ancora oggi e ovunque nel mondo.
Perché Cleonice, detta Nice, aveva dovuto difendere il suo corpo già da giovanissima dagli abusi sessuali del padre; anche la maternità era stata un doppio dolore sia perchè frutto della violenza paterna, sia a causa della morte del bambino appena dopo la nascita. Anche il tentativo di vivere al riparo di queste esperienze drammatiche fallirà, in quanto un suo datore di lavoro, venuto a conoscenza della sua storia, inizia a molestarla. E infine il suo corpo sarà duramente colpito dalle torture e dalle ulteriori violenze dei nazisti.
Perché Nice era dovuta fuggire dal paese natìo, in Abruzzo, per andare a Roma e poi a Milano. Una migrante involontaria costretta a un peregrinaggio non voluto per sfuggire alla violenza, al dolore e per cercare di costruirsi una vita tranquilla.
Perché Nice era una donna intelligente, che aveva una cultura elementare ma sapeva pensare e non voleva sentirsi finita. E per una volta il destino le è amico. A Milano incontra Mario Nobili che sarà il suo compagno per una decina di anni, e con il quale frequenta alcuni circoli antifascisti di ispirazione comunista.
Alla morte di Mario, però Nice è di nuovo sola. Casualmente viene a sapere che un paio di conoscenti vogliono partire per unirsi i partigiani nella Val d’Ossola e d’impeto decide di unirsi a loro. Non li raggiungeranno mai. Sarà proprio lei a rendersi conto per prima che sono incappati in un rastrellamento nazista.
Catturata, torturata e, forse, nuovamente violentata da un ufficiale nazista, Nice resiste anche ai tedeschi. Nella villa trasformata in prigione dove è rinchiusa con altri prigionieri, continua a mostrarsi calma e serena e ad infondere coraggio ai suoi compagni.
E prima della sua morte, le donne, mogli dei partigiani prigionieri, le restituiscono la dignità della persona, donandole i loro abiti più belli in sostituzione di quelli coperti di sangue che aveva indosso.
Fiera e quasi elegante, Nice apre la colonna di condannati a morte che i nazifascisti fanno sfilare sul lungolago di Intra e poi, paese per paese, fino al luogo della fucilazione come monito alla popolazione locale. Due prigionieri, davanti, reggono un cartello: “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”.
“Viva l’Italia!” Sono le ultime parole pronunciate da Nice avanzando verso il plotone nazista.