
L’arte che cura : MERVEILLE DE LA VIE
Fin dalla sua nascita non nonpiùindifesa si è avvalsa del linguaggio emozionale dell’arte, nelle sue varie manifestazioni,per diffondere la cultura del rispetto, base di ogni convivenza. Ad esempio, con successo,per anni, è stata portata nelle scuole la piece di Cristina Comencini “l’amavo più della sua vita” a sostegno dei corsi di legittima difesa delle donne, democrazia di genere educazione relazionale.Continueremo questo percorso, convinti che l’arte può migliorare questo mondo.
Fulvio Rossi
MERVEILLE DE LA VIE
Una donna ha subito violenza, si chiama Faé, si chiama Riccarda, si chiama Maria, può avere tanti nomi, perché non è l’unica che porta sul proprio corpo delle cicatrici.
Riccarda Montenero ha realizzato le immagini di questo lavoro insieme a Faé A. Djéraba sul cui corpo, e soprattutto nell’animo, ci sono ancora le ferite della violenza patita.
Merveille de la vie è il titolo, provocatorio e paradossale, del progetto realizzato dal duo artistico “Liberté. Femmes magiques”, nato nel 2018 da una proposta di Riccarda a Faé, artista italo-franco-tunisina. Il lavoro fotografico, costituito da due sequenze – Victime non coupable – e un dittico, è il racconto di una violenza subita dalla stessa Faé, soggetto delle immagini, la raffigurazione della sua lacerazione interiore; ma è anche la narrazione delle sopraffazioni che le donne hanno patito nel corso dei secoli e patiscono tuttora quotidianamente. Una vicenda personale acquista nelle affascinanti opere di Riccarda Montenero la valenza di una storia universale.
Osservando le immagini, infatti, si avverte qualcosa di più profondo del racconto di una violenza fisica, si percepisce un’oppressione più sottile e devastante. Nella prima foto dell’esposizione s’intravede una donna abbandonata al suolo, ma non è il corpo quello offeso bensì la mente: un’intelligenza femminile negata e oltraggiata. E così nelle immagini seguenti, alcune realizzate mediante sovrapposizioni, lo sguardo va oltre la figura umiliata e coglie un’anima ferita e repressa. Anche quando il corpo sembra faticosamente risollevarsi.
Il dittico, Point de rupture, – centrale rispetto alle sequenze – riprende una donna senza volto e con un seno scoperto che stringe un revolver. Nella prima foto la donna punta la pistola contro se stessa, nella seconda contro lo spettatore. È l’inizio della rinascita e il cerotto sul seno enfatizza, sì, la ferita provocata dalla violenza, ma ne presuppone la cura e la possibilità di guarigione. Nelle immagini successive, delle figure avvolte in un tessuto tubolare, ancora bozzoli invisibili al mondo e a se stesse, lentamente si sollevano, si animano in una danza, prendono coscienza del proprio esistere e si moltiplicano fino a…
E qui Riccarda lascia immaginare a noi l’evoluzione catartica finale.
L’esposizione continua con un’installazione sul pavimento – quindi calpestabile come un profondo dolore ormai sconfitto – dal titolo che ne denuncia l’origine drammatica, Tourbillon-Avalanche. L’opera è realizzata da Faé A. Djéraba e la sua creazione è stata per l’artista un viaggio a ritroso nell’inferno della violenza, la deflagrazione della coscienza del male subito e il suo straziante superamento.
Faé, attraverso l’intervento su alcune immagini di Riccarda, sui tessuti e la sottana indossati durante il lavoro insieme, rivive intensamente il dramma rimosso da cui riaffiora la donna che non aveva saputo reagire allo stupro e il senso di colpevolezza. Esplode così una sofferta ribellione nei confronti dell’altra e l’urgenza di un gesto liberatorio.
Come per un rito di purificazione, l’artista brucia tutti gli oggetti, immagini e vestiti appesi ad una gruccia, fotografandone il disfacimento. Il fuoco annienta, il fuoco redime. Ogni colpa è cancellata e dalle ceneri del passato può nascere un futuro diverso. Di consapevolezza e libertà.
Il progetto si conclude con la distruzione di un oggetto, tridimensionale, minacciosamente presente nelle immagini di Riccarda. Avviene così l’emancipazione dal peso opprimente dell’odio da parte della vittima del sopruso. Quest’atto liberatorio conferma ancora una volta la possibilità di un riscatto dalla violenza e cancella così il divario tra il titolo del lavoro, Merveille de la vie, e la drammaticità delle immagini.
Maria Erovereti